Inferno – Canto XXXIII
La libertà e il male definitivo
Marco Politi
«Dobbiamo confrontarci con il mistero del male nella società. Il mistero diabolico della storia, per usare termini religiosi. Quelle energie oscure e terribili che, lo diceva Francois Mauriac, l’uomo ha dentro di sé» …
Crollò il Muro di Berlino, tutti pensarono ad una festosa riconciliazione delle due Europe e invece esplose la guerra nei Balcani. C’è un insegnamento da trarre? Osserva Lo scrittore bosniaco Custovic :«Significa che le liberazioni autentiche, oltre alla dimensione politica, esigono qualcosa di più profondo. Liberarsi da una schiavitù non può essere la corsa verso un ipotetico paradiso terrestre fatto, come diceva Fromm, dalla libertà guardare le vetrine e dire: compro tutto».
Come i berlinesi che con i primi marchi occidentali si precipitarono nei sex shop? «Esattamente. Le liberazioni vere devono essere frutto, se non vogliamo usare termini religiosi, di un’operazione culturale. Il che vuol dire ricostruire un uomo, perché lo schiavo è indubbiamente un uomo a metà.
Il drammaturgo tedesco Buchner ha affermato: la statua della libertà non è mai finita, è sempre calda, bisogna stare attenti perché ci si scotta le mani. È accaduto dopo il 1989 in Russia, in altri paesi dell’Est, in Kosovo».
Nella guerra balcanica, alle porte dell’Unione Europea, accaddero episodi di una ferocia inimmaginabile. «L’interrogativo emerge ogni volta che assistiamo a delitti particolarmente efferati. Io penso sia la rappresentazione di un mistero e di una struttura fondamentale della persona.
Su questo il cristianesimo e la Bibbia hanno detto tanto. A partire dal racconto della Genesi dove la creatura umana è sotto l’albero della conoscenza del bene e del male. La creatura è libera, ma è sola. Stende la mano, non la stende? Qui siamo al cuore dell’antropologia cristiana».
Il mistero della libertà e del male? «Spesso in presenza di grandi crimini c’è la tendenza a trovare forme scusanti o a riferirsi al contesto, alla violenza corale, e invece penso che al di là di tutto bisogna fare i conti con la coscienza e dire che la violenza non si legittima mai.
Affrontando la questione della responsabilità morale, la società contemporanea non può non riconoscere il mistero del male». Dove individuare le radici del disumano? «Bisogna ammettere che l’uomo non è soltanto la figura utopica, presentata da Rousseau, secondo cui l’essere umano è rovinato dalla società perché di per sé sarebbe buono.
No, l’uomo ha in sé un suo mistero di iniquità, che è anche nel mondo. Interrogarsi è fondamentale e credo che tutti, pur cercando di guardare dall’altra parte, ad un certo punto si pongano la domanda. D’altronde, cosa sarebbe la letteratura occidentale da Dante a Shakespeare, a Dostojevski senza questo rovello?».
Nei Balcani fu guerra di tutti contro tutti. Cristiani contro musulmani. Cristiani ortodossi serbi contro cristiani cattolici croati. Un’anticipazione di quello che sarebbe stato chiamato scontro di civiltà? «Ci rammenta piuttosto la distinzione, magari a tratti un po’ artificiosa, che il teologo Karl Barth faceva tra religione e fede».
Qual è il crinale fra le due? «La differenza sta nel fatto che la religione è una appartenenza sociale, culturale, storica – che comporta naturalmente valori immensi, pensiamo alla storia dell’arte ad esempio – ma che può anche essere una sorta di realtà assunta con il latte materno. Come quando nei censimenti gli italiani affermavano di essere cattolici al 98 per cento. Era l’atmosfera che respiravano».
La fede invece? «È l’adesione profonda e radicale ai valori fondanti della religione. E allora direi che molti scontri, ieri come oggi, avvengono tra religioni. Se le persone avessero fede, proprio per l’anima profonda delle religioni che riconoscono un unico Creatore e riconoscono la fraternità adamica delle creature nate dalla stessa carne, non dovrebbe arrivare a certe azioni. Il vero credente dichiara l’“altro” suo fratello, anche se non è della stessa religione».
Chi ha visto i minareti e i campanili di Sarajevo, rievoca un’era felice di convivenza fra le religioni. Poi, con l’11 settembre 2001, nel mondo tutto sembra precipitare. «Io non credo al teorema dello scontro di civiltà. Mi sembra superficiale e alla fine giustificativo.
L’Islam e il Cristianesimo non sono due realtà unitarie. L’Islam è variegato. Certo, la voce che urla acquista più rilievo, ma il mondo islamico è diffuso in grandissimi spazi, assai differenti. E anche il Cristianesimo è vario: c’ è quello dell’indifferenza, quello davvero praticante, e a volte quello fanatico.
Lo schema della storia esclusivamente come scontro e duello è gradito proprio ai fondamentalisti». «Agli uomini politici, di cultura e di religione proporrei di sostituire il duello con il duetto. È una battuta, certo, per dire che il duetto esige che due voci differenti trovino l’armonia. E per raggiungere il risultato bisogna conoscere bene la tonalità dell’altro e contemporaneamente ogni voce deve essere se stessa.
Insomma mantenere la propria identità proprio perché non chiediamo all’altro di rinunciare alla sua. Il grande dramma dell’Occidente è che non ha più identità, è smemorato». Il dramma è anche che nel mondo odierno gli scontri si ammantano di religione.
Il cardinale Ratzinger, dialogando con Habermas, invocava la ragione per purificare le patologie della religione. «David Hume diceva: “Gli errori della filosofia sono sempre ridicoli, gli errori della religione sono sempre pericolosi”.
Sono convinto che anche in nome della ragione si compiono delitti. Però poiché la religione coinvolge l’intero della persona, la storia, i costumi, e anche un po’ il segreto che sta nella sua coscienza, persino la parte più oscura, dobbiamo tutti stare attenti, anzitutto come uomini di chiesa, alle degenerazioni della religione. Perché il fondamentalismo agita il suo vessillo per cancellare tutto il resto: qualsiasi altra possibilità del diverso da te».
Adattamento da Marco Politi
(la Repubblica, 21 novembre 2007)